Monday, February 9, 2009

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THE EASTERN BORDER: LEGAL ASPECTS OF HISTORIC

Lecture given by the lawyer. Salvatore Antonio in the conference "The long exodus" il 10 febbraio 2009 presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara

Si ritiene di far precedere la trattazione dell'oggetto principale della presente relazione – vale a dire la vexata quaestio dei cc.dd. “beni abbandonati” - da una veloce disamina degli strumenti di diritto internazionale che stanno, per così dire, sullo sfondo della delicata questione e dalla conoscenza dei quali è impossibile prescindere per il corretto inquadramento della stessa.
Il 10 febbraio 1947, a Parigi, venne, come noto, firmato il Trattato di Pace tra l'Italia e le Potenze alleate e associate (tra cui la Jugoslavia).
Trattato assai contestato a livello non solo politico ma anche dottrinale, in quanto imposto all'Italia senza alcuna opportunities to trade (to be defined, therefore, "Diktat"), marking a dramatic fate of the "eastern border" Italian.
The Peace Treaty involved the sale to Yugoslavia, a large part of the territories acquired by Italy after World War I: 7700 km square well, including the city of Pula, Zadar, Rijeka and most of Istria. As a result of the Treaty was also established between Italy and Yugoslavia a "buffer state", called "Free Territory of Trieste" (acronym "TFL"), resulting from the two zones of occupation assigned, respectively, the administration military of Great Britain and the United States ("Area A") and the Yugoslav ("Area B").
As a result of difficulties arising, in particular those related to the failure to appoint the Governor, the situation outlined by the Peace Treaty was amended by the Memorandum of London on 5 October 1954, granted the "Zone A" and the Italian civil administration " Area B "Yugoslav civil administration.
The "Memorandum of London - in addition to bearing the chrism of finality to a dashed border for exclusively military purposes (it is, indeed, in large tracts, the so-called" Morgan line "), without taking in any conto le caratteristiche storiche ed etniche delle popolazioni interessate - è stato concluso senza autorizzazione né ratifica del Parlamento italiano, dunque in aperto contrasto con l'art. 80 della nostra Costituzione.
Esso è, pertanto, un atto illegittimo in quanto stipulato in violazione di una precisa disposizione costituzionale (si ripete, l'art. 80); più precisamente si tratta di un accordo affetto da “vizio del procedimento di formazione dell'atto”.
Per quanto riguarda gli effetti di tale illegittimità, la dottrina internazionalistica tradizionalmente distingue tra quelli che il trattato produce nell'ordinamento internazionale da quelli che produce nell'ordinamento interno del singolo Stato.
Per the first, reference must be art. 46 of the 1969 Vienna Convention on the Law of Treaties. This convention has taken a middle way between two of the thesis that, historically, the cone opposite: one called "dualistic", based on the principle of strict separation between international law and domestic laws and the "monistic" based on the assumption of the so-called " unity of legal systems. " For this new concept, the internal rules of jurisdiction would have to take out full value even in the international order and, therefore, the violation of them actually a vice of illegality of the agreement at international level.
Article 46 of the Convenzione di Vienna in linea di principio nega che la violazione di norme interne sulla competenza a stipulare possa essere invocata come vizio del consenso, “a meno che tale violazione non sia stata manifesta e non concerna una norma di importanza fondamentale del proprio diritto interno”. Lo stesso articolo chiarisce il concetto di “violazione manifesta”, affermando che, perché questa ricorra, occorre il requisito dell'”evidenza obiettiva” per qualsiasi Stato che si comporti, in materia, “in base alla normale prassi ed in buona fede”.
Si può affermare che, essendo l'art. 80 della Costituzione italiana una disposizione di importanza fondamentale, la violazione di esso ben può costituire treated as a defect in the international act.
With the Law of 14 March 1977 No 73 have ratified the Treaty of Osimo, 10 November 1975 agreement between Italy and Yugoslavia and aimed to establish peaceful cooperation and good neighborly relations, thus starting a new phase in relations between the two countries.
With that treaty - which confirmed the provisional arrangements contained in the "Memorandum" of 1954 - was established once the frontier between the two countries. Italy, with the signing of it, and finally gave up without any consideration to the last stretches of the Istrian peninsula (the so-called "area B").
should finally mention the Indemnity Agreement (referred to as “Trattato di Roma”) concluso il 18 febbraio 1983 tra Italia e Jugoslavia, relativo alla ex “zona B” del Territorio Libero di Trieste, che si riferisce “ai beni, diritti ed interessi” indicati nell'art. 4 del Trattato di Osimo, “oggetto di misure di nazionalizzazione o di esproprio o di altri provvedimenti restrittivi da parte delle Autorità militari, civili o locali jugoslave”.
Secondo l'accordo del 1983, tali ”beni, diritti ed interessi...sono considerati come definitivamente acquisiti dalla Repubblica socialista federativa di Jugoslavia” (art. 1), la quale si obbliga a versare “al Governo italiano, a titolo di indennizzo, la somma di 110 milioni di dollari U.S.A.” (Article 2).
A recent survey showed that the compensation provided for in the Rome is anything but "fair and acceptable", amounting to only a few cents per square meter. In the survey have taken three working hypotheses: a) that the Italian property of "Area B" would be equal to the territorial extent of this b) that were equal to half of this, c) they were equal to one third of this. In all three cases, this would lead to the following values: a) U.S. dollars 0.208 b) dollars 0.416 c) 0.312 U.S. dollars. Were not considered property, since the value is established in plan, ie per square meter of land. The inadequacy of compensation risulta, del resto, dallo stanziamento previsto dalla proposta di legge italiana del 1996, che prevedeva la distribuzione tra gli esuli della somma di 5 mila miliardi di lire. Orbene, 110 milioni di dollari corrispondono, al cambio attuale, a meno di 110 milioni di euro, mentre 5 mila miliardi di lire corrispondono a ben 2,58 miliardi di euro.
In ogni modo, l'art. 3 del Trattato di Roma dispone che: “il pagamento verrà effettuato a partire dal primo gennaio 1990 in 13 annualità eguali con un accreditamento su un conto intestato al Ministero del Tesoro presso la Banca d'Italia in Roma”.
Ad oggi, soltanto due rate (1990 – 1991) sono state pagate dall'ex Jugoslavia, prima della sua disintegrazione (2/13 di 110 milioni di dollari, vale a dire circa 17 milioni di dollari).
Il Governo sloveno ha poi versato, in varie rate, il 60% della somma residua, depositando l'importo di 56 milioni di dollari presso una banca lussemburghese.
Il pagamento non risulta accettato dal Governo italiano.
La Croazia avrebbe dovuto versare l'altro 40%, ma non ha pagato alcunché.
La distribuzione percentuale tra Croazia e Slovenia pare sia stata definita da un accordo tra i due Stati, ma tale accordo non produce di per sé effetti nei confronti dell'Italia, che non risulta averne accettato il contenuto.
Gli obblighi assunti dalla Jugoslavia con gli artt. 2 e 3 dell'Accordo del 1983 non sono stati adempiuti; il carattere solidale dell'obbligazione esclude che uno dei due Stati successori possa effettuare un pagamento parziale. Pertanto, l'adempimento non è perfetto e si prospetta la possibilità per il Governo italiano di richiedere la risoluzione dell'accordo del 1983 per inadempimento della controparte.
A tale proposito va ricordato che l'art. 60, paragrafo 1, della sopra richiamata Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 stabilisce che “una violazione sostanziale di un trattato bilaterale ad opera di una delle parti legittima l'altra a invocare la violazione come motivo di estinzione del trattato o di sospensione totale o parziale della sua applicazione”.
La violazione degli obblighi posti dagli artt. 2 e 3 dell'Accordo del 1983 ha indubbiamente carattere sostanziale because the payments were stopped after two years.
The resolution of the treaty should take effect in respect of Croatia and Slovenia which, given the solidarity of their obligations as successors of Yugoslavia.
should be added that Slovenia and Croatia became part of the European Convention on Human Rights and its Additional Protocol No. First acts of accessions, respectively, June 28, 1994 and November 5, 1997. Following accession, the two states are obliged to provide "any person under their jurisdiction the rights and freedoms defined in Section I of the Convention, as well as those guaranteed by the Protocols."
Article. 1 of Protocol provides: "Every natural or legal person is entitled to the enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public interest and in the conditions provided by law and by general principles of international law. "
The exceptions are provided by the following paragraph:
" The foregoing provisions shall not impair the right of Member of enacting such laws as it deems necessary to regulate the use of property in accordance with the general interest or to secure the payment of taxes or other contributions or penalties. "
According to art. 14 of the European Convention on the enjoyment of rights and fundamental freedoms must be ensured senza discriminazione di alcuna specie come di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinione politica – o di altro genere – origine nazionale o sociale, appartenenza ad una minoranza nazionale, ricchezza, nascita o altra condizione.
Tale articolo esprime il principio di “non discriminazione”.
Secondo l'interpretazione accolta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (a partire dal caso “Sporrong e Lonnroth c. Svezia”), l'art. 1 del Protocollo n. 1 contiene tre norme distinte: “la prima, contenuta nella prima frase del primo paragrafo, ha tenore generale e sancisce il principio del rispetto della proprietà, la seconda, enunciata nella seconda frase del medesimo paragrafo, prevede la privazione della proprietà e la sottopone a talune condizioni, la terza, espressa nel secondo paragrafo, riconosce agli Stati contraenti il potere, fra l'altro, di disciplinare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale. Non si tratta di disposizioni prive di rapporti tra loro; la seconda e la terza si riferiscono a esempi particolari di limitazioni del diritto di proprietà e pertanto devono essere interpretate alla luce del principio sancito dalla prima”.
Quanto all'art. 14 della Convenzione, l'interpretazione corrente che ne dà la Corte è nel senso che tale disposizione costituisce un completamento delle norme sostanziali contenute nella Convenzione e nei Protocolli.
L'art. 14 non ha quindi, secondo the Court, an autonomous existence, as it has effect only in relation to the enjoyment of rights and freedoms guaranteed by those rules.
In this perspective, it was noted, could not be subjected to any evaluation of the legality of all acts and measures with which it was raised at the time introduced the system of social ownership: lack, in fact, any jurisdiction of the Court ratione temporis .
is then to examine the feasibility of application of the conventional (and principles developed by the Court) in relation to regulations issued by the two countries (Croatia and Slovenia) after the end of communist rule, with cc.dd. "Laws of denationalization" regulatory measures adopted by Croatia and Slovenia, as successor states of former Yugoslavia, with whom, on the one hand, has been abolished the so-called "social ownership", which will be discussed below, and, on the other hand, has governed the return to a regime of private property (through restitution and / or compensation to previous owners) of the assets nationalized under the former Communist regime and passed into public hands.
As regards Croatia, the original wording of the law of 17 October 1996, the previous owners did not grant the right to request either refund or compensation, where the date of entry into force of the law they were not in possession of Croatian citizenship (Article 9, paragraph 1, "The rights under this law compete to individuals - the previous owner, or his heirs until the first grade - that on the day of entry into force of this Act have Croatian citizenship ", the Slovenian law similarly provides:" Individuals have the right, at the time of the nationalization of their assets were Yugoslav citizens ").
the Croatian law further provided (article 10) that the right to restitution / compensation did not exist where an international treaty had already regulated the matter.
was further required that the (natural and legal persons) non aventi cittadinanza croata non fossero eleggibili, tranne nel caso in cui un trattato internazionale avesse diversamente disposto (art. 11).
La Corte Costituzionale croata venne investita della questione di costituzionalità delle previsioni della legge suddetta e in data 21 aprile1999 dichiarò incostituzionali le limitazioni riguardanti le persone fisiche (non quelle giuridiche!) straniere. Statuì la Corte che “discriminare i precedenti proprietari sulla base del possesso di un determinato “status” (come quello di cittadinanza) è ingiusto e non può essere giustificato dalla necessità di proteggere altri diritti costituzionalmente tutelati. Il diritto degli stranieri di ricevere in restituzione gli immobili should be adjusted in accordance with the provisions of law regarding the right of foreigners to buy property in Croatian territory. "
The Court quashed, so that Article. 9.
The Croatian Parliament (Sabor), by Act July 5, 2002, on "changes and additions to the law on compensation of the assets taken during the period of the Yugoslav communist regime," he amended the previous legislation of 1996, according to the dictates of Constitutional Court.
were deleted the words of Art. 9, paragraph 1, relating to the "Croatian citizenship," but the new law, art. 2, provides that "the previous owner has no right compensation for the stolen assets where the question of compensation was determined by international agreements. "
the Croatian law alludes to the denationalization of foreign citizenship, even in subsequent rules (Articles 10 and 11), as well as assumptions regarding covered by international agreements (art. 10: "The previous owner is not entitled to restitution of property taken if the restitution is the subject of international agreements, except as otherwise provided by law "; art. 11, paragraph 1:" natural persons and foreign legal entities do not have the rights to this law "; art. 11, paragraph 2:" exceptionally, in derogation from the previous comma 1, i diritti previsti da questa legge possono essere assegnati alle persone fisiche e giuridiche quando ciò è previsto da accordi internazionali”.
Fino ad ora, l'interpretazione di tale legge è stata nel senso che, laddove lo Stato della cui cittadinanza è in possesso lo straniero non avesse concluso un trattato internazionale con la Repubblica della Croazia, ai suoi cittadini non poteva essere riconosciuto il suddetto diritto (un caso recente è stato discusso nell'aprile del 2005).
La suddetta interpretazione della normativa è stata sovvertita dalla recente decisione del 14 febbraio 2008 del Tar della Croazia, per il quale il requisito della stipulazione di un trattato internazionale non è più considerato as a nullifying factor, despite the wording of the provision. The Tar
has recognized Zlata Ebenspanger, Jewish-born Croatian town which later became Brazil (or rather his son, which happened during the process after his death), the right to receive a refund or receive compensation for unit property located in downtown Zagreb, and the past in public immediately after the Second World War. The Tar
you are not, indeed, referring to the wording, but given the fact that the Constitutional Court declared unconstitutional the art. 9 in that the required condition of Croatian citizenship and concluded that the right to be compensated member all foreign natural persons with regard to which the subject property "robbed" is not subjected to any international treaty.
If the decision of the Tar confirmed, would suddenly repeat the numerous claims from time frozen in the closets of the Ministry of Foreign Affairs in Zagreb.
Croatia, moreover, he has since announced its intention to revise the current law on property nationalized, which is also one of the commitments covered by the treaty of accession to the EU.
The sentence that has created alarm not only in Zagreb but also in regional and coastal towns.
From a summary inventory shows that only in Spalato le proprietà rivendicate da stranieri siano almeno 72 (case di abitazione, antichi palazzi, poderi, aree edificabili ecc.). Nella sola cinta urbana spalatina gli immobili rivendicati sarebbero oltre 40 (32 richiesti da cittadini italiani, 5 da persone residenti negli USA e 3 da cittadini tedeschi). A Zara, che detiene il primato in Dalmazia in quanto a istanze di restituzione di beni nazionalizzati, le proprietà rivendicate da stranieri sarebbero un'ottantina, fra le quali spicca la sede della “Maraska”, ossia della storica distilleria del Maraschino, rivendicata dagli eredi Luxardo. A Sebenico, si sa per certo che le proprietà rivendicate da cittadini italiani sono una decina.
Venendo alla Slovenia, la legge di denationalization of November 29, 1991 was first amended by Law No 720 of 16 September 1998. Subsequently, the Slovenian Constitutional Court has considered these amendments with the ruling Sept. 30, 1998, declaring the unconstitutionality of Article. 9 of the Act, which limited the right to restitution to those who had originally bought or had subsequently the Yugoslav citizenship.
However, Article. 10 of the Slovenian law provides further: "have no right, under this law, those individuals who received or were entitled to receive compensation for the theft of assets by a foreign state", referring to agreements concluded tra la Jugoslavia con l'Italia e con l'Austria.
Per comprendere pienamente la questione dei “beni abbandonati”, occorre prendere le mosse dal significato delle misure di “nazionalizzazione, riforma agraria o di confisca”, adottate dalle autorità jugoslave circa la proprietà dei beni a partire dal 1945.
Non si tratta di misure di esproprio – come potrebbe apparire naturale agli occhi di un osservatore occidentale – quanto, piuttosto, dell'avocazione di taluni beni ad un regime di proprietà del tutto nuovo e originale, introdotto nel diritto civile jugoslavo dopo la rivoluzione comunista e la guerra.
La proprietà sociale (drustveno vlasnistvo) è un'elaborazione socialista dei rapporti di proprietà relativi agli immobili, che vigeva nella sola Jugoslavia. Tali beni non erano di proprietà dello Stato jugoslavo, bensì della società jugoslava intesa come “pluralità di uomini e donne lavoratori”.
Tale proprietà sociale veniva soltanto concessa in uso allo Stato, agli enti locali e ai privati.
Per effetto del “Memorandum” del 1954, i beni sottratti sono stati, nella maggioranza dei casi, iscritti nei libri fondiari come proprietà sociale concessa in uso ai Comuni.
L'acquisto come “proprietà sociale” avveniva “a titolo originario” e non “derivativo”: ciò implicava la nascita di un diritto nuovo e non the sale of the old.
By the laws of denationalization, as noted above, the institution of "social ownership" has been abolished: the goods back, if possible, to the owners of a time, then come by now a right to restitution, married to ' fundamental right to property.
The fact that the purchase had taken place in its time, as an original, clearly shows how, once abolished the institution of "social ownership", which can not revive the right to property, although the same way as the right to refund. So much so that Croatian law provides for restitution to former owners.
contrary, if it were to purchase derivatives, the sale would be final and transferred to the transferee all the rights of the transferor.
Considering all the international agreements between Italy and Yugoslavia in the light of their object and purpose (principle of interpretation laid down by the 1969 Vienna Convention on the Law of Treaties), one can observe that Italy:
acknowledged the introduction schemes into public ownership and social Yugoslavia and the resulting change that occurred on private property rights;
waived claim the application of the rules contained in the Treaty of Peace with regard to the assets of Italian citizens in the ceded territories, are
forced a non proporre nei confronti della Jugoslavia rivendicazioni riguardo a tali beni.
Quale contropartita di quest'ultimo obbligo, di carattere negativo, la Jugoslavia si impegnava a versare all'Italia determinate somme a titolo di indennizzo; esse rappresentavano il corrispettivo della mancata restituzione dei beni prevista dai vari trattati e della sottoposizione dei beni stessi ai regimi di proprietà pubblica e sociale instaurati nell'ordinamento jugoslavo.
La presenza e la permanenza del regime proprietario in questione costituiscono il presupposto fondamentale della disciplina pattizia e la condizione logica e giuridica della sua operatività.
Con il mutamento del regime della proprietà intervenuto negli ordinamenti sloveno e croato a seguito dell'emanazione delle leggi di denazionalizzazione, rispettivamente, come si è visto, nel 1991 e nel 1996, il presupposto fondamentale della disciplina è venuto meno.
L'esigenza di convenire sulla difficoltà di procedere alla restituzione dei beni e di astenersi dal formulare pretese al riguardo si era, invero, profilata in relazione al regime della proprietà allora vigente in Jugoslavia.
La trasformazione dell'assetto proprietario in Slovenia e Croazia e l'abolizione del regime della proprietà sociale rappresentano, incontestabilmente, un mutamento fondamentale delle circostanze, che facevano parte della base essenziale del consenso che aveva portato alla disciplina pattizia.
Inoltre, il mutamento intervenuto has radically transformed the extent of previously taken by Italy, not to advance any further claim in respect of goods subject to schemes of public and social.
are, therefore, these two elements that, in light of Article. 62 of the Vienna Convention on the Law of Treaties, justify the termination of a treaty.
This is the clause "rebus sic stantibus", seen as a cause of extinction of international agreements. Feel
force that clause means believing that a treaty to lapse, in whole or in part, to the changed factual circumstances existing at the time of conclusion of the Treaty, provided that the circumstances essential, without which the contractors would not have led to the treatment or part of it.
In ancient history we find references to the importance of changing circumstances.
depth exploration of the problem is in Polybius, who described a decision of the Assembly of the Spartan 211 BC, to decide whether to maintain an alliance with the Aetolians or replaced by a new alliance with Macedonia.
Polybius spoke of "radical change of affairs of Greece," which he believed to have occurred following the intervention of the barbarians the Romans, to the benefit of which would play to maintain the alliance with the Aetolians (Polybius, Histories). The thought of historical
e moralisti greci e latini venne ripreso nel “diritto delle genti” dal sedicesimo secolo: Grozio utilizzò tale tesi nel definire i rapporti tra gli Stati. Egli sostenne che non si può pensare che uno Stato avesse inteso obbligarsi a proprio svantaggio, quando si crea una situazione di “impossibilità morale”, provocata dal mutamento delle circostanze.
Il pensiero groziano venne ripreso da Pufendorf, Textor e poi da Vattel, che ritenne che se l'esistenza di un certo stato di fatto era stata determinante per l'assunzione di un obbligo, la permanenza di tale obbligo si legasse indissolubilmente alla permanenza dello stato di fatto.
Fino al diciannovesimo secolo, dall'inquadramento dell'istituto del mutamento delle circostanze derivano due importanti conseguenze:
l'effetto del mutamento può essere solo estintivo;
l'estinzione del trattato è del tutto automatica, a partire dal momento in cui il mutamento si è verificato.
Dal diciannovesimo secolo in poi, numerosi autori hanno sostenuto che tutti i trattati internazionali si intendono conclusi con la tacita clausola “rebus sic stantibus”. Tra essi, Fauchille sostenne che “les traités conclus sans fixation de dureé doivent etre toujours censés contenir une clause rebus sic stantibus, c'est à dire avoir etre signés sous la reserve tacite qu'ils cesseront d'etre en vigueur quand les circostances à raison desquelles il ont eté conclus auront ceases exister: la fin d'a traité doit suivre inévitablement the disparition ont des Causes the opportunity here. "
Others have justified the validity of the principle on grounds of justice, fairness, necessity or self-defense.
The diplomatic history of the nineteenth and twentieth century presents many examples of treaties denounced by either Contracting Party on the grounds of supervening change in view of the facts of which were concluded. You remember, the most important: in 1870, the complaint by Russia of the articles of the Treaty of Paris of 1856 relating to the demilitarization of the Black Sea in 1908, the annexation by Austria-Hungary of the Provinces of Bosnia and Herzegovina, and in 1919 the application by Italy of the city of Rijeka.
In contrast to the above arguments, in the period prior to the Vienna Convention, many authors believed that only the rule "pacta sunt servanda" had real legal protection and that there would be evidence of a tradition that recognizes citizenship in ' international order in the clause "rebus sic stantibus."
These authors considered the principle of "pacta sunt servanda" indispensable for the peaceful coexistence of states denying the clause "rebus sic stantibus" nature of real legal institution, setting it as a simple plea for revision of the treaties.
The first to deny any legal significance to the clause was Bruno Schmidt, who sees in it a "maximum experience" based on "force of circumstances," a limit to the force of international legal standards. In this theory
joined the Italian Salvioli, who considered the principle expressed by the clause only as a fact, a "quid" of "pregiuridico" and claimed that treaties must legally enforceable or binding.
The 1969 Vienna Convention on the Law of Treaties, Art. 62, paragraph 1, states that "a fundamental change of circumstances has occurred with regard to the circumstances existing at the time of the conclusion of a treaty and not era stato previsto dalle parti non può essere invocato come motivo di estinzione o recesso, a meno che: l'esistenza di tali circostanze non abbia costituito una base essenziale del consenso delle parti a vincolarsi al trattato; e che tale cambiamento non abbia per effetto di trasformare radicalmente la portata degli obblighi che rimangono da adempiere in base al trattato”.
Non si potrebbe opporre, per non procedere alla restituzione dei beni, l'avvenuto o previsto versamento di un indennizzo. Infatti, la maggior parte dei beni erano stati soggetti al regime di proprietà sociale; tale indennizzo era quindi commisurato non alla cessione della proprietà privata ma alla sua trasformazione in proprietà sociale; qualora una persona ottenesse oggi la restituzione del bene dopo aver conseguito anche l'indennizzo, non ne trarrebbe un arricchimento: non bisogna dimenticare l'enorme differenza tra ammontare dell'indennizzo e il valore di mercato del bene al quale si riferisce.
Tornando al tema della possibilità di applicazione del regime della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (e dei principi elaborati dalla Corte dei diritti dell'uomo) in relazione alle “leggi di denazionalizzazione”, non pare che essa possa negarsi, soprattutto se si pone attenzione al fatto che le esclusioni previste dalle due leggi di denazionalizzazione rispetto al diritto, riconosciuto in via generale, alla restituzione dei beni nazionalizzati (“i precedenti proprietari non avranno diritto alla restituzione se la questione sia stata oggetto di trattati internazionali”: legge slovena del 1991 e legge croata del 1996, dopo le modifiche introdotte con legge del 5 luglio 2002), appaiono in aperto contrasto con l'art. 1 del Protocollo addizionale e l'art. 14 della Convenzione europea, costituendone una grave violazione.
Sotto un primo profilo, va sottolineato che il significato e l'effetto delle due leggi di denazionalizzazione è quello di cancellare, del tutto e per tutti, il regime di proprietà pubblica e sociale. Stabilire in queste condizioni il mantenimento del diritto di proprietà in capo agli enti pubblici – Stato e/o Comuni che in precedenza erano titolari della proprietà sociale – negando agli antichi holders the right to repurchase their property means, in reality, operating a new coercive transfer of property rights in favor of the holder of social property. Under the guise of maintaining "status quo ante," the substance of the laws of denationalization sanction a second nationalization: namely, deprivation of the right to reclaim their property, by implementing the forced transfer to the government.
This is undoubtedly contrary to the obligations assumed by the accession of Croatia and Slovenia to the Protocol 1 and specifically with the obligations under the second rule derived from Article. 1 of that Protocol, to not deprive a person of property of his possessions except in the "public interest" as an exception provided for in art. 1 of the First Protocol.
This is a disguised act of expropriation, for which reason the question of whether a public utility is not even hinted at.
It 'also important to remember that the European Court of Human Rights is clear on principle - for example as set out in the abovementioned decision Sporrong and Lönnroth - for which the system of the Convention aims at protecting the "rights practical and effective" and therefore must be regarded as expropriation not only prohibited any formal steps for the transfer of enforcement of an asset, but also any measures which may affect the exercise of the right, forming a sort of de facto expropriation. "
Another Profile deserves to be investigated. The Slovenian and Croatian
regulations require that there shall be excluded from the right to refund all those who have received or entitled to receive compensation from a foreign state.
Such laws are clearly inspired by the need to avoid a perception of double compensation for the same commodity. In fact, we are faced with discriminatory provisions on grounds of nationality of the subjects.
Indeed, there is no doubt that the provision can not cover foreign nationals, since it is clear that only these possono essere beneficiari di indennizzi previsti da accordi internazionali.
Ma la discriminazione sussiste anche dal punto di vista per così dire “materiale”, posto che ai cittadini sloveni e croati viene riconosciuto un diritto alla restituzione dei beni in natura e quindi nel loro valore attuale, mentre agli stranieri tale diritto viene negato e sostituito da una modesta somma di denaro versata a titolo di indennizzo.
Non si tratta, pertanto, della negazione di un diritto del quale gli stranieri abbiano, seppure in forma diversa, già usufruito, ma dell'aperto rifiuto ad attribuire agli stranieri lo stesso trattamento che, in sede di ripristino del regime di proprietà privata, viene riservato ai cittadini croati e sloveni.
In relazione alla Slovenia, che appartiene alla Unione Europea, va, inoltre, ricordata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, firmata a Nizza il 7/12/2000, che, all’art. 17, riconosce il diritto di proprietà nel capitolo denominato “libertà” e recita: “ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti nell’interesse generale”.
Come noto, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e, in particolare, il suddetto art. 17, dedicato al diritto di proprietà, va considerata alla stregua di importante affermazione di principi fondamentali e generali ricavati sia dalla CEDU e dai Trattati, sia dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, sia dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Avv. Antonio Salvatore

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